Addio casa mia

Paterna casa, caldo ambiente.
Luogo dove crebb’io e la mia mente.

Felice ostello dove tra gioie e dolori
tra risa e sventure, tra freddi e calure
io cresceva e piccolo
tra le per me grandi stanze vagava
giocando e fantasticando, immaginando
nuovi mondi.

Natale era il periodo più bello
ed io soleva aiutare nel fare l’alberello
che alto si ergeva sopra di me.
Amava io i colori, l’aria, l’atmosfera
di sera in special modo, quando solo
le luci di questo erano accese
e davanti al televisore riposavamo sul divano.
La fiamma del focolare eravamo noi:
me ed i miei genitori.

Davanti a questi cieli che ora splendono di notte
penso quindi a dove andrò e quale altra
faticosa scalata di montagna mi aspetterà.

Mi duole il fatto di lasciare
la natìa casa mia
ma l’ideale dell’ostrica non è la via.

Leonardo

Scrissi questa poesia esattamente due anni fa, il 2 dicembre 2016. Voglio condividerla e accompagnarla con questo stupendo paragrafo di Nietzsche. Poiché nata priva di titolo, la chiamerò con il nome di un grande, recente amico, al quale è dedicata.

“Io curai me stesso, io mi risanai. […] Così mi realmente mi appare ora quel lungo periodo di malattia: io scopersi quasi nuovamente la vita, me compreso; io gustai tutte le cose buone, anche le piccine, come altri difficilmente potrebbe gustarle, io feci della mia volontà d’esser sano, di vivere, la mia filosofia. […] Fu proprio negli anni della mia più debole vitalità che cessai di essere pessimista: il bisogno istintivo di ristabilire me stesso, mi strappò alla filosofia della miseria e dello scoraggiamento. E da ciò si riconosce, in fondo la bontà della nascita!” — F. Nietsche (Ecce homo)

Screenshot_20181202_224828

Non so cosa mi manchi,
forse una mano amica sulla spalla.
Ho solo molecole, libri, emozioni ideali.
Ho i miei mali, tetri che trucidano e tritano
non la carne, l’anima.
Ho un vuoto dentro,
un’aura nera di morte e un
vortice che mi spezzetta.

Sono nella tromba di un ascensore
giù come una saetta
vorticosamente
senza fine
senza toccare il suolo
e vedo le lucine piccoline dei piani
che passano, volano, passano.

Codirosso

In giardino drizzo attento l’orecchio
e mi volto in cerca del suono prodotto.
Questo schiocco profondo che viene
di là dagli olivi, che picchietta sonoro
quasi fosse lo stappar d’una bottiglia.
A questi segue il canto tenero, squillante, sincero
dell’uccellino posato sul filo.
E rischiocca ancora e canta e schiocca.

E si lancia giù dal traliccio della luce,
plana e si dilegua sbattendo veloce le ali.

Amore invernale

Sento il profumo freddo di queste note
che escono dallo strumento:
sono il profumo che indossavi.
Ma ormai non ci sei più. Chi sei?

Ora sei la nota più alta
che salta, rincorre le altre,
mentre piano piano svanisce,
si disgrega a concludere il pezzo
e come un accordo
minore io spengo e spezzo ciò che
avevo acceso per te.

Le note volano e la musica scorre
tra queste dita che una volta
ti hanno accarezzata.
Ora altri pezzi saranno composti,
e con altri inchiostri,
altre armonie costruite.

Genitori

Ogni uomo può essere un padre.
Ogni donna può essere una madre.

Ma quando questi ti sente
e ti ascolta,
ti guarda e ti vede,
ti tocca e ti ama,

quell’uomo è un padre,
quella donna è una madre.

Quando tremi a denti stretti e aspetti
mesto, al freddo, il triste cadere della grandine,
della brina che brucia il fiore
e dello tsunami che tutto affoga,

vedi comunque l’inverno che si fa primavera,

perché quell’uomo è un padre,
perché quella donna è una madre.

Rimareggio tra le nuvole

Poesia in sestine e endecasillabi che compone un acrostico (leggete in verticale la prima lettera di ogni verso).

Volteggio tra gli alberi felice
Andando a spasso da me, cammino.
Godo mentre vedo il sole brillare
Odo gli uccelletti cinguettar nel ciel
Nel momento in cui mi siedo e vedo che
Erano bianche sopra le nuvole.

L’aspetto, e sperando bramo un giorno che
Verso l’assoluto voleremo in ciel
E insieme andremo nel grande brillare
Rideremo, ma per ora cammino
Diventändo sempre più felice.
Ed io rimareggio tra le nuvole.

Essa adesso vedo mentre cammino
Tutta bella nel vestito brillare
Ed io sono d’amore ben felice,
Rinasco andando tra le nuvole.
Non solo, ma con lei piena d’amor che
Oh, se potessi farei cadere il ciel!

Come diamante ti vedo brillare
Oh bastone forte del mio cammino
Nel prato sdraiata a veder nuvole
Tutte soffici e candide e belle in ciel
E io guardo te e ti contemplo felice.

Sarcofago

Guardo dentro di me e mi vedo
riflesso in una pozzanghera.
Piove. L’acqua s’increspa.
Il sole tramonta e vedo la mia ombra
che si attenua, scompare.

L’immagine cambia e adesso emergono
i tuoi occhi neri, che mi fissano
e io m’intorpidisco e la testa gira e l’aria viene meno
e cado risucchiato dentro un vortice d’emozioni.

Il mio cuore batte ancora, macchinosamente,
come un ingranaggio necessario alla vita.
Ho provato ad offrire amore, eppure
qualcuno vuole un pezzo di questo muscolo?

E allora basta, caliamo il sipario.
Mi chiudo, solitario, dentro questo sarcofago
mentre l’ultima lama di sole tenta di accecarmi
e mi serro fuori da questa vita
nera d’orrori, di morte, di paura.

Dolce afoschia

Dolce afoschia
inesistente, non rendi le cose evanescenti.
Mentre le nostre menti si arrovellano
la dolce foschia se ne va, calma, piano,
nebulizzata.

Gli ingranaggi neuronali si oliano ben bene
poi clonc. Si rilassano.

Il regime è al minimo e sulle cime
dei discorsi ci sono, e sono qua e
l’alabastro è dietro, insieme alle genti
del terzo canto di Dante.

Ed eccomi, quindi, ad ascoltare parole piene,
a ridere, essere, vivere – forse –
senza usare più il codice Morse
né senza ingrandire le pene.

Orione

Il silenzio delle stelle e il vento
che non fischia e l’ovatta bianca
del suono assente della neve caduta ieri.

Guardo Orione a tarda notte d’inverno.
Le mani che gelano, i denti che battono,
gli occhi pii che a stento si aprono.

Ma com’è bella, lassù?

 

Tepore

Sono le cinque.
Sento piano il battere delle gocce
di pioggia sulle tegole del tetto.
Sotto le coperte mi adagio, ascolto.
Di là, la caldaia si accende
e passa, lento, il flusso del gas
che riscalda la casa.
Il tepore mi abbraccia.